venerdì 22 gennaio 2010

La presenza di Dio nel mondo è la Carità



Se apriamo l’Antico Testamento, esso ci parla dei vestigi di Dio
nell’universo, e ce ne parla come di realtà così portentose, che
l’uomo non può che essere presuntuoso se pensa di poterli comprendere
pienamente. Eppure, per quanto il Creatore abbia lasciato
nella sua creazione l’impronta della sua onnipotenza e della sua sapienza,
quest’impronta rimane in qualche modo contenuta e limitata
dalla finitezza del creato, che non ne poteva accogliere di più. È,
dunque, un’impronta che non corrisponde alla piena grandezza di
questi due attributi divini.
Ma dell’impronta della santità e della carità di Dio non si può dire
la stessa cosa. Questa non riceve limiti di sorta nel Verbo manifestatosi
nella carne, ed è in sé sostanza divina, perché Dio è carità, è
santo il suo nome, e chi aderisce al Signore forma con lui un solo spirito.
A qualcuno parrà follia, ma io ritengo di poter osare e affermare
che nel mondo ci sono i segni adeguati della presenza di Dio, e che
sono soltanto le manifestazioni e le azioni della divina carità negli
uomini. Apriamo il libro di Giobbe.
Credi tu di scrutare l’intimo di Dio, o di penetrare la perfezione dell'Onnipotente?
Egli è più eccelso dei cieli; che cosa puoi fare? È più profondo
degli inferi; come lo conoscerai? È più estesa della terra e più vasta
del mare la sua presenza. Così si parlava quando non era ancora venuto
al mondo Gesù Cristo. Ma noi, fratelli, viviamo sotto la legge
della grazia, in un tempo in cui tutto l’essere umano è diverso da ciò
che era; cieli e terra si sono rinnovati. Ciò che di per sé è incomprensibile
agli uomini, è venuto Gesù a renderlo in qualche modo comprensibile.
Dio non può essere compreso che da Dio; Cristo è Dio, e
il suo Spirito, che diffonde la carità nei nostri cuori, è anch’egli Dio; e
lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio.
Perciò l’apostolo Paolo, volendo descrivere la grandezza della carità
di Dio quasi con le stesse immagini di Giobbe, osa assai più di
Giobbe. Agli Efesini dice che egli piega le sue ginocchia davanti al
Padre del Signor nostro Gesù Cristo, perché, radicati e fondati nella carità,
possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza,
l’altezza e la profondità, e ancora conoscere la carità di Cristo che
sorpassa la scienza. Nessuno, prima della venuta di Gesù Cristo, ha
detto o avrebbe osato dire queste cose, o solo immaginato di poterle
dire. Nessun santissimo profeta e patriarca pronunciò una preghiera
così sublime. Giobbe, il santo, diceva incomprensibile la presenza di
Dio nel mondo. Paolo, invece, si rivolge al Padre di Gesù Cristo e,
inginocchiato davanti a lui, lo supplica di voler svelare ai cristiani di
Efeso gli attributi della carità, che, fra tutti i segni della presenza di
Dio nell’universo, sono i più grandi e più meravigliosi.
Procediamo, dunque, senza timore e senza esitazione con san Paolo,
vaso di elezione, e alla sua scuola anche noi, fratelli, indaghiamo
più profondamente, con riverente coraggio, la grandezza di quella
carità a cui siamo decisi di consacrarci.

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